Skip to: site menu | section menu | main content

Firma Sergio Figuccia Titolo Sergio Figuccia

Salvo Ferlito - Rassegna stampa e critica

Stralci dei giudizi critici di SALVO FERLITO

Gennaio 2004

Di Sergio Figuccia ho avuto modo di apprezzare le non comuni doti di bravo vignettista. "Serfì" - così amava firmarsi, negli anni '80, quando pubblicava i suoi caustici disegni sul Giornale di Sicilia - si occupava prevalentemente di politica, lanciando i propri strali sui governanti di allora nel tentativo di esporne l'operato alla berlina. Potrebbe sembrare fuorviante parlare delle divagazioni vignettistiche d'un pittore, soprattutto se ciò avviene in sede di presentazione d'una sua mostra di dipinti; ma in realtà, questi due aspetti dell'attività artistica di Sergio sono tutt'altro che scissi o contrapposti, costituendo le due facce complementari d'una stessa erma bifronte.

Infatti, quel certo gusto per l'immagine "eloquente", croce e delizia di quasi tutte le sue tele, appare indubbiamente come un portato della sua pregressa esperienza vignettistica. Esperienza alla quale vanno ascritti anche l'amore per le didascalie (che "raccontano" i soggetti) e da un punto di vista più strettamente tecnico, il segno grafico forte ed incisivo, appena temperato dalla stesura a spatola.

Del resto, lo stesso titolo scelto per questa mostra, ovvero i "I Solidi Ignoti", è ampiamente rivelatore d'una incoercibile pulsione al calembour e alla battuta dissacrante, in cui si esprime l'animus del vignettista ancor prima di quello del pittore.

Per tanto, benchè Sergio ci introduca al suo fantascientifico immaginario popolato di visioni da "day after" con uno scritto dai toni quasi seriosi, e per quanto non si sottragga all'ostinato desiderio di chiosare le sue immagini con slanci "poetico-retorico-oracolari", ciò non di meno forse per la vivacità cromatica, che certo non induce a pensieri catastrofistici, e fors'anche per una qualche gradevolezza fumettistica una sana quanto ossimorica ironia non manca d'aleggiare sulle sue opere, permeandole ampiamente ben oltre gli intenti da egli dichiarati.

Ecco, allora, i Moai dell'isola di Pasqua andare alla deriva su una specie di vascello-bunker, evocando più una immagine turistica che l'idea di antichi simulacri dispersi in un pelago prossimo-venturo, o, ancora, le aggressive sagome degli Ecomostri ergersi priapicamente, ottemperando al rispetto d'un onirismo architettonico decisamente più "viagrato" che allucinatamente psichedelico.

Gli ideali referenti cui il nostro Sergio pare richiamarsi, nel costruire (o nell'immaginare) questo suo "solidamente ignoto" mondo del futuro, sono senza dubbio Escher (si guardi il vertiginoso Precipitevolissimevolmente) e più recentemente Breccia (che non a caso ha esposto a Palermo poco più di un anno fa).

Un riferimento che però non prevede la riproposizione di atmosfere da delirio o da non sense (tipiche soprattutto dell'impareggiabile olandese), ma piuttosto la loro trasfigurazione in termini più caldi e rassicuranti, grazie a una brillante tavolozza e ad una impostazione compositiva assai scarna e di grande sobrietà (connotazione, quest'ultima, che in vero indulge ancora a un simbolismo surreale, sebbene depurato di quelle venature più inquietanti proprie dei suddetti autori).

In definitiva, escludendo la fascinosa cupezza di Bunker, il "domani" prefigurato da Figuccia, in questa sua ultima produzione pittorica, pare assai più rassicurante di quanto egli a parole non voglia farci credere. Vi splende il sole, il mare è azzurro, non mancano palmizi e barche a vela, inoltre pregio da non trascurare non vi si avverte quasi presenza umana; un mondo davvero "ideale", ove prevale l'involontario aspetto utopistico su quello antiutopistico, e il cui avvento più che una paventabile iattura pare francamente un'auspicabile ventura.

Febbraio 2000

Non si può certo dire che i dipinti di Sergio Figuccia siano sprovvisti di una buona dose di visionarità e di potere evocativo. Popolati come sono di immagini che si collocano a metà fra l'allucinazione psichedelica (richiamando alla mente molta produzione artistica fra la fine degli anni '60 ed inizio '70) e la proiezione psico-onirica, perseguono l'intento palese di condurre l'osservatore ad una visione più.

Non sempre l'obiettivo è raggiunto con la dovuta efficacia ma rimane, comunque, il dato inconfutabile del forte impatto visivo prodotto da alcuni dipinti capaci d'esercitare un inquietante magnetismo grazie ad una vivace orchestrazione cromatica e ad un riuscito equilibrio compositivo che non offrono cedimenti alle facili tentazioni della retorica.

Back to top